I sing Ammore
Ideazione e creazione Lindsay Kemp

Coreografie e collaborazione alla regia Daniela Maccari
Coordinamento del progetto e luci David Haughton
Musica dal vivo: Filippo Papucci, Francesco Menici, Raffaele Commone, Antonio Ghezzani,Claudio Fabiani
Con gli allievi della Bottega d’Arte della Fondazione Goldoni: Luca D’Alesio, Alessandra Donati, Jara Grieco, Renzo Guddemi, Beatrice Neri, Jacopo Paoletti, Silvia Rosellini, Filippo Sassano, Arianna Tanzini, Fabrizio Ughi e con la partecipazione di Daniela Maccari

“I Sing Ammore – gli anni ’50 in danza e musica” è la seconda parte di quella che doveva essere la trilogia ‘Dance for Peace’, progetto nato e cresciuto al Teatro Goldoni di Livorno. Il primo quadro, ambientato a cavallo fra gli anni ’30 e ’40, era “Sospiri di Balera”, la terza, doveva spostare lo sguardo verso gli anni gli anni ’60 e ‘70.
‘Dance for Peace’: ‘Dance’ come gioco e celebrazione, oltre a sfida e impegno, mentre ‘Peace’ serve per ricordare un valore individuale e collettivo per cui c’è sempre da lottare, anche attraverso il divertimento.
Con la musica di settanta anni fa, “Sospiri di Balera” ha dipinto un affresco di vite e danze durante i drammatici anni del fascismo e della guerra, culminando con la liberazione e l’arrivo degli americani. “I sing ammore” (titolo di una canzone dell’epoca che rispecchia perfettamente la sua gioiosa contaminazione culturale) ci porta a pochi anni dopo, ad un decennio dove l’Europa e l’Italia sono guarite dalle ferite, anche se portano ancora molte cicatrici. Ma le persone, soprattutto i giovani, vogliono dimenticare, divertirsi. Buttarsi nel boom edonistico del consumismo e nuove tecnologie. Gli Americani avevano portato – e poi esportato – atteggiamenti, costumi e gusti diversi. Come mai prima, la tecnologia aveva reso la musica facilmente disponibile per tutti… e non era più vietato ascoltare canzoni Americane o Inglesi. La musica popolare diventò Pop, linguaggio internazionale dei giovani. Giravano i giradischi. La radio diventava portatile. E in tanti bar e caffè spuntavano delle specie di luccicanti altari colorati, simboli della musica istantanea e ottimista del momento: i Juke Box, icone della condivisione di musica (così diverso dalle solitudini silenziose delle cuffie).
Quindi un affresco di vite con sapori anni cinquanta, per ricordarci quanto la storia cambia, e quanto poco cambiano le persone e le loro emozioni. E il mondo. Gli anni cinquanta erano ‘allegri’ in Italia, ma il pianeta era pieno di guerre, calde o fredde, reali o incombenti. Violenze presenti (Corea, Tibet, Africa) che seminavano violenze future (Vietnam, Sud America, Africa). Armi che mietevano vite. Dietro i Mambo e i Cha-cha-cha i mitra battevano i loro incessanti ritmi sinistri. Come sempre. Radicati nella storia, ma a prescindere dai decenni, balliamo per affermare amore e gioia e per dire no a violenza e guerra.
Lindsay

Note dal programma di sala 25 febbraio 2011
Foto Paolo Bonciani