FLOWERS

A pantomime for Jean Genet

Inspiration: Kemp’s extremely free interpretation of Genet’s novel “Our Lady of the Flowers”, with himself playing the central role of Divine, a transvestite transcending gender in a world of criminals, whores and angels: prisons and sexual fantasies, Genet’s verbal violence and poetry transformed into music and gesture, silence and stillness. A dreamlike journey to destruction, through seduction, shock, laughter, poetry and total emotion.

Creation: First performance in September 1970, in the ex-Edinburgh Rock factory in Edinburgh, manually converted into something resembling a theatre by Kemp and a cast of willing young acquaintances, and named The Edinburgh Combination. Further extremely experimental versions were created and evolved from 1970-72, in small Scottish theatre spaces or English universities, transmitting raw “poor theatre” energy, sex, parody and violence. In January 1974, in London, transferring from the tiny Bush Theatre to the West End, came the transformation into the show that would tour the world and open the doors to all the other Lindsay Kemp Company productions.

Ingredients (post-1974): A set built of stark high scaffolding, soaring ladders, platforms and a balcony. High impact lighting by John Spradbery, bold stylised colours, light bursting out of darkness and breathing with the music and smoke.

A potent recorded sound track with live percussion by Joji Hirota: an extreme contrasted collage of electronic effects and voices with music from Mozart to Pink Floyd via La Vie en Rose, Al Jolson, Schumann and Billie Holiday. Plus total silence.

Boldly stylised make-up, simple costumes and nudity. Prisoners, sailors, whores, transvestites, but also angels, masked furies and white bodies smeared with blood.

A closely knit cast of ten performers infused over time with Kemp’s performance technique but also inspired by his example to deeply develop their own performing personalities, backed up by 5 equally passionate technicians and assistants.

Famous scene:
The Prologue: prisoners masturbating in solitary islands of light, fantasies burned alive by ecstasy.
Divine’s Funeral: umbrellas, men in black mourning dresses and veils, the priest in scarlet silk stripped naked and raped by Darling.
The Café: Divine makes her slow entrance along the balcony to La Vie en Rose, then meets and falls in love with Darling, waltzing with dancing sailors towards imaginary wedding bells. The Bedroom: dead silence, as Divine shyly undresses before Darling’s impassive gaze.
Giselle’s mad scene: Divine, abandoned the morning after, plunges into madness, identifying with Giselle, dancing with her bridal veil.
The Cabaret: two criminals’ eyes transfixed by each other, oblivious to jaded attempts by 3 decrepit entertainers, and their desperate rendition from somewhere over the rainbow.
The Angel: Divine dances further into madness, abandoned in her sad café. Kissing a bitten apple, her fantasy conjures up the archangel Gabriel, the marble body with tulle wings descending to seduce her, impossibly offering a slow jazz glimpse of Eros and paradise, then vanishing.
The End: after a stylised version of the murder trial with masked furies and acrobatics on ropes, the murderer is prepared, crucifixion-wise, for execution. The ritual hypnotic organ loop (Pink Floyd, A Saucerful of Secrets) begins as Divine in tragic trance – part Japanese Butoh ghost, part Madonna on Golgotha, part broken dervish doll – enters an apocalyptic smoke-filled tableau. One by one she rips off the masks of her imaginary loves, who spasm, wither and die. The destruction of her world and the implacable advance of her blood-spitting consumption lead her through a mad dance of death to embrace her crucified love, lower him to a pieta in her arms, until only a gaping red mouth is left to fill the stage, screaming to the ends of the night and disappearing.
The Bows: the ceremonial organ continues in the dark, along with its trance, as all the dead bodies slowly rise, still inside the dream, and the bloodied Genet-Divine-Kemp leads the cast and public in a slow-motion return to the world, as tragic catharsis lifts towards joy.

NOTE IN ITALIANO

Lindsay Kemp’s “Flowers” live: il racconto

Il Prologo: un carcere… la solitudine dei detenuti nelle loro celle, isole di luce, frustrazione e fantasia…si masturbano verso l’estasi.
Il Secondo Prologo: una sequenza di immagini sconnesse, figure oniriche che emergono dal buio e poi spariscono.
Il Funerale di Divine: un cimitero… ombrelli nel vento, figure in lutto, lascive e velate, arrivano alla tomba di Divine.
Un sacerdote giovane e bello si avvicina, avvolto da seta scarlatta, scatenando sguardi complici. Darling porta fiori bianchi alla tomba della sua protetta. Poi spoglia il sacerdote e lo violenta. Arriva Ernestine, la madre di Divine, in preda ad una disperazione plateale. Vedendo Darling, lo accusa della morte del figlio. Fanno l’amore violentemente, poi lei gli spara.
Il Cafè: marinai e prostitute ballano allegramente. Il tempo sembra fermarsi mentre Divine passa en rallenti su un balcone in fondo, poi entra nel locale. La buttano fuori, ma mentre esce incontra, per la prima volta, Darling, che diventerà il suo mezzano e amante. Un walzer trasporta la coppia in una coreografata fantasia romantica, completa di campane e velo matrimoniale.
La stanza da letto: Rimasti soli, in silenzio totale, Divine si spoglia lentissimamente davanti allo sguardo impenetrabile di Darling. Si abbracciano sul letto.
Il Tradimento: la mattina dopo, “l’amica” Mimosa fa visita alla coppia, ma poi flirta con Darling. I due travestiti lottano come furie, ma Darling e Mimosa escono insieme, lasciando Divine sola e sconvolta.
La Pazzia di Giselle: Divine precipita nella follia, si identifica con l’eroina tradita del balletto, impazzendo con il velo nuziale del giorno prima.
Il Delitto: il giovane ladro conosciuto come ‘Nostra Signora’ rapina un vecchio e lo uccide… il vecchio lo perseguita nei suoi incubi, in treno.
Il Cabaret: Darling incontra Nostra Signora, e lo porta in uno squallido night: seduti al tavolo, ciascuno si perde negli occhi dell’altro, totalmente noncuranti degli sforzi di tre decrepiti cabarettisti che vorrebbero sedurli.
L’Angelo: come il fantasma di se stessa, Divine danza da sola nei vortici della pazzia. La mela morsa lasciata sul tavolo fa nascere la fantasia dell’Arcangelo Gabriele: un corpo di marmo bianco con ali di tulle scende dal cielo per sedurla, una lenta visione jazz di Eros e del paradiso… che vola via.
Il processo: Il giovane criminale la consola… ma viene catturato da furie con maschere che volano su corde e che conducono una versione stilizzata del processo e condanna dell’ assassino.
Il Finale: Nostra Signora è preparato per l’esecuzione, come in una crocifissione. Un ipnotico loop di organo inizia il rito mentre Divine in trance si trova in un tableau apocalittico pieno di fumo. Una alla volta, strappa via le maschere dei suoi amanti immaginari, lasciandoli a morire. La distruzione del suo mondo irreale e l’avanzata implacabile della sua tubercolosi la portano attraverso una folle danza della morte, vomitando sangue. Abbraccia l’amore crocefisso e lo sorregge come in una agonizzante pietà… finché rimane soltanto una bocca spalancata, un grido circondato dal buio.

Creazione
Le prime recite della prima ‘primitiva’ versione di “Flowers” sono andate in scena ad Edimburgo nel settembre 1970. Il libero adattamento di “Notre Dame des Fleurs”, con tanta nudità, omoerotismo e violenza, suscitò un furore entusiasta e scandalizzato. Alcune ulteriori versioni altamente sperimentali e controverse sono state proposte fra il 1970 e 1972, in vari spazi ‘alternativi’ in Scozia, o in università o centri culturali in Inghilterra. ”Flowers” era un figlio del suo tempo… anche se il titolo non è stato scelto in omaggio al “Flower Power”. Ma la produzione è cresciuta all’inizio in un periodo in cui il teatro britannico cominciava a rinnovarsi radicalmente nel contesto più ampio dell’iconoclastico movimento controcultura, stimolato da happenings, movimenti di protesta, sperimentalismo e influenze dall’estero come Jerome Savary, Tadeusz Kantor and The Living Theatre. E Lindsay Kemp si buttava in questo fervore, felice di dare il suo contributo: infatti, la sua collaborazione con l’ex-membro della sua compagnia David Bowie, nella creazione dei concerti Ziggy Stardust, più altre produzioni radicali nella Scozia dei primi anni ’70, contribuiva a far iniziare a parlare di lui sempre di più.
Una versione drasticamente rinnovata di “Flowers” (la base di quelle future), ha debuttato a Londra nel gennaio 1974, al Bush Theatre, una piccola stanza nera sopra un pub fuori centro. E’ stato subito acclamato, la parola volava, ed i biglietti erano introvabili. Da lì fu subito trasferito al ICA Theatre, e poi per quattro mesi al West End, nel Regent Theatre. Già all’inizio di Ottobre – sempre più alto sulla scala del successo –debuttò On Broadway a New work. E così iniziò un’avventurosa tournée mondiale che durò oltre vent’anni e rese possibili tutte le altre grandi produzioni della Lindsay Kemp Company degli anni ‘70, ‘80 e ’90.

Stili, ispirazioni, intenzioni ed effetti
“Flowers” decollò grazie ad una congiunzione fortunata fra uno specifico momento culturale e un altrettanto specifico momento nello sviluppo creativo di Lindsay Kemp. Il periodo dell’evoluzione della produzione ha coinciso, infatti, con un artista più maturo che iniziava a sintetizzare la babele dei tanti generi ed influenze che lo avevano influenzato prima di allora, creando invece un linguaggio teatrale tanto coerente quanto originale e potente. Soltanto un linguaggio così libero da parole e da realismo avrebbe potuto esprimere le visionarie fantasie di Genet, espresse nel libro in uno stile narrativo totalmente onirico e non-cronologico, pieno di flashback e flashforward, contraddizioni, misteri e cambi di punti di vista e genere.
Come disse John Cage nel 1976, “Vedere “Flowers” è come sentire un camion di dieci tonnellate che ti attraversa.” Ma non tutti godevano di questa sensazione. Non tutti si lasciavano trasportare. “Flowers” non lasciò indifferente proprio nessuno, ma in gran parte, l’esperienza del camion di dieci tonnellate aveva un effetto euforico.

The Lindsay Kemp Company: “Flowers” e altro…
La Lindsay Kemp Company era una creatura anarchica, allegra e zingaresca, ma totalmente dedicata alla sua missione creativa. Grazie alla personalità del suo leader, evitò di diventare un’istituzione: non ha mai avuto una base, un’entità burocratica o una sovvenzione… per molti anni nessuno aveva un contratto, c’era solo fiducia, passione, avventura e alte dosi di dramma, lacrime e risate. Tutto questo è nato da “Flowers”, sì, ma rese anche possibile il capolavoro che “Flowers” diventò.
Nel 1992 l’ultima recita di questo spettacolo unico ha avuto luogo a Buenos Aires.
In un certo senso anche il ‘cuore storico’ della Lindsay Kemp Company stava finendo … decimato da AIDS e dal tempo. Lindsay, naturalmente, si adattò, e continuò creando e interpretando in diversi contesti “Onnagata”, “Dreamdances”, “Variété” ed “Elizabeth’s Last Dance”, alternati con molte messinscene di opere liriche, coreografie varie, esibendo i suoi disegni e dipinti, dando straordinarie masterclass e… danzando. Oggi, nel suo ottantesimo anno, gira con uno spettacolo che si chiama “Kemp Dances”… un titolo dove “Dances” è un sostantivo plurale ma anche e soprattutto un verbo unico e singolare.